L’attimo fuggente: la fotografia del ‘900





L’attimo fuggente: la fotografia del ‘900


La fotografia ha visto il suo più grande sviluppo nel ‘900, con molti interpreti e molte interpretazioni. La modalità più gettonata era il cosiddetto “foto-giornalismo” o “fotografia sociale”, di cui autori come Tina Modotti, Dorothea Longe o Robert Capa sono stati gli esponenti. Se nella fotografia della Modotti non si evince alcun aspetto puramente artistico, ma solo reportage veritieri, nudi e crudi, già in René Burri possiamo stare delle divergenze. Il fotografo svizzero, importante esponente dell’agenzia Magnum, non cercava solo di riportare la verità, ma di porre la figura umana nel suo ambiente principale: la città. René Burri è stato anche fotografo di guerra, scattando foto nel conflitto fra Egitto e Israele, ma non possiamo sicuramente porlo sullo stesso piano di Robert Capa, considerato dalla critica come il più famoso e produttivo fotografo di conflitti. Nelle sue foto, provenienti prevalentemente dalle cinque guerre da lui vissute, si possono percepire i temi crudi e strazianti, sebbene, nella vita personale, Capa, fosse molto spericolato e mondano. Il suo scatto più conosciuto, che ritrae un miliziano spagnolo durante la guerra civile, appena colpito a morte, è stato, però, oggetto di critica, poiché ritenuta non autentica, sebbene Robert Capa abbia spesso dichiarato la modalità fortuita e fortunata con la quale catturò quell’attimo fuggente, in quel “momento decisivo”. Quest’ultimo aspetto è stato reso celebre da un altro fotografo che ha fatto la storia, Henry Cartier-Bresson, membro della Magnum, così come Capa, e sostenitore della tesi, poi diventata “legge” della fotografia, che bisognasse scattare il più possibile e vedere successivamente ergersi dalla moltitudine di foto quelle realmente di valore.

In tutto il XX secolo, i fotografi cercavano di riportare su pellicola i temi sociali in maniera seria e cruda, ma un autore in particolare la pensava diversamente: Elliott Erwitt, amico di Robert Capa e Roy Stryker, aveva posto al centro del suo lavoro l’ironia. Erwitt voleva mettere in risalto le assurdità della società contemporanea, non tanto le sue malattie. E’ così che utilizzò un soggetto particolare, i cani, per descriverle: a differenza dei loro padroni, tutti impettiti e impeccabili, i cani si comportano in maniera impulsiva e irrazionale, rendendo l’accoppiata irriverente.

Le donne, quasi in tutti i settori artistici e non, hanno avuto molte difficoltà ad emergere nel secolo scorso, ma potevamo già comprendere la loro potenzialità e la loro per nulla minore bravura nell’opera di Dorothea Longe, oltre che in quella di Tina Modotti. 

Dorothea Longe ebbe una vita povera e travagliata, ma grazie alla fotografia si riscattò del tutto. La sua fotografia sociale rispecchia e rappresenta la vita difficile dei lavoratori degli Stati Uniti. Nella sua foto più emblematica possiamo notare una madre di trentadue anni guardare il vuoto insieme ai propri figli, che sfama solamente con verdure congelate.

La grande maggioranza della fotografia novecentesca era praticata solamente in bianco e nero, poiché si credeva che fosse più formale e espressiva, ma una fetta dei fotografi di fine secolo rivendicava il colore come elemento fondamentale di comunicazione fotografica. 

Franco Fontana, infatti, basò la propria arte su due concetti fondamentali: il colore e la geometria. La sua fotografia tendeva alla completa astrazione per mezzo del colore e delle linee nette.

Il colore è necessario a spiegare e analizzare uno dei più grandi fotografi del XX secolo: Steve McCurry, la cui opera presenta però un paradosso. Da una parte la perfezione tecnica e compositiva, che esalta la vivacità dei colori; dall’altra, la durezza dei temi trattati, la guerra, gli sfollati, il dolore delle popolazioni indiane e afghane in primis. Parola chiave della fotografia di McCurry è “antropologia”. Nei suoi scatti prevale sempre l’umanità, la cultura, le usanze e i costumi delle società analizzate. 

Seppur con tecniche, idee e convinzioni molto diverse, tutti questi artisti ci permettono di dare uno sguardo su noi stessi, ci aprono una finestra sul passato, con quell’attimo fuggente catturato e impresso nella nostra storia più che su una pellicola.

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                       Granieri Luca

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